Oggi Cerebro è azienda. L’intervista alla sua fondatrice, Federica Peci

Cerebro dopo essere stata per cinque anni una startup è diventata ufficialmente Impresa Innovativa. La dottoressa Federica Peci, fondatrice a capo dell’azienda, ci racconta la sua esperienza, tra successi, premi, traguardi e sfide future. 

 
Quando ha capito che era quella la sua strada, mettere su una startup di biotecnologie per diffondere strumenti e metodica nell’utilizzarli? 
Mi verrebbe da dire che non l’ho ancora capito o meglio non pensavo di ottenere ciò che alla fine di 5 anni di startup abbiamo ottenuto… Tutto è iniziato perché volevo aiutare i pazienti che seguivo, ma mi mancavano gli strumenti. Ecco, serviva qualcosa che ancora non avevo, allora ho ragionato non da venditrice ma da professionista. Ho pensato: cosa vorrei ricevere per fare davvero la differenza nella mia attività quotidiana? Mi sono detta: se voglio fare la differenza devo iniziare io a fare qualcosa. Ho puntato sull’innovazione e in primis sull’utilizzo dello spettro luminoso nelle patologie neurologiche. Nel 2018, anno di fondazione di Cerebro, non si parlava in modo così prepotente delle stimolazioni e modulazioni cerebrali.  
Oltre agli strumenti poi volevo affiancarci un metodo condiviso che mettesse al centro il paziente e potenziasse il lavoro del professionista sanitario. In questo sono stati fondamentali amici e colleghi che seguivano un modo di fare clinica comune.  

Qual è stata la cosa più difficile, la sfida maggiore che ha affrontato
Il periodo di stallo che ha imposto la pandemia. Avevo appena iniziato a consolidare Cerebro, aumentare l’organico e poi ho dovuto mettere tanti progetti in stand by. È stato un duro colpo soprattutto perché ci è stato “negato” il tempo necessario per inserirci in modo decisivo nel mercato italiano degli strumenti elettromedicali. Col senno di poi però oggi penso che non è stato tutto negativo, senza la pandemia probabilmente non sarei riuscita a depositare 3 brevetti per Cerebro e altri 3 in co-titolarietà con un’altra startup.  

C’è stato un momento in cui ha pensato di lasciar perdere tutto, che aveva sbagliato? 
No, non l’ho mai pensato, neanche durante la pandemia. Ero rammaricata sì, ma non ho pensato mai di mollare, anzi, io e il mio team abbiamo deciso di mettere a frutto quel tempo, abbiamo implementato la ricerca, la valutazione clinica delle strumentazioni e soprattutto abbiamo messo in campo le nostre conoscenze e competenze nell’utilizzo dell’ozono come molecola di sanificazione ambientale. Vedevo i benefici che avevano i pazienti nell’utilizzare le nostre strumentazioni, la soddisfazione dei nostri centri in Italia e dei risultati che portavano, e che portano ancora oggi, per cui mai ho pensato di aver scelto la strada sbagliata. Che fosse giusta era -ed è- proprio sotto i miei occhi.  

Qual è stata la soddisfazione più grande? 
Difficile dirne una, sono state tante. Dalla partecipazione a fiere e congressi internazionali in cui ho avuto modo di confrontarmi con professionisti e manager da tutto il mondo alle validazioni cliniche. Se proprio devo sceglierne una, forse direi l’aver ottenuto il brevetto della nostra stimolazione magnetica statica. Ottenere un brevetto non è facile, è un lavoro lungo e faticoso. È ricerca, condivisione con i consulenti per redigere tutte le pratiche, ottenerlo equivale a dire che NON esiste niente di uguale nel mondo. Se non è eccellenza italiana questa, non so cosa lo possa essere… 

Qual è la sfida che deve ancora affrontare e che le sta più a cuore? 
Più che sfida l’obiettivo a breve termine è inserire queste strumentazioni all’interno di più realtà cliniche possibili sul territorio italiano così da avere centri di eccellenza tecnologica in tutta Italia. Questo vale attualmente per le strutture sanitarie private ma c’è necessità che siano inserite anche nel settore pubblico. Abbiamo sviluppato le nostre strumentazioni con un primo criterio fondamentale: che fossero alla portata di tutti. Per farlo abbiamo dovuto trovare materiali di alto livello ma con linee di produzione semplici e che potesse abbassare i costi di produzione garantendo un’alta qualità di prodotto.  

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