Chi è la più giovane del team al femminile di Cerebro, la ricercatrice che guarda al futuro e studia la fotobiomodulazione transcranica ad emissione pulsante
Parlare con Jasmine Balduzzi fa ricordare cosa significa avere 24 anni, per chi lo avesse dimenticato. Parla di futuro, di innovazione, del fatto che la medicina cambierà. I farmaci tradizionali non saranno superati, dice, ma accanto a questi si spalancheranno nuovi scenari, nuove opportunità, sempre più su misura dei pazienti e anche più sostenibili per l’ambiente. Ci racconta di un prossimo futuro in cui sfrutteremo alghe e funghi per depurare gli ambienti contaminati e ci serviremo di batteri per la produzione di biocarburanti. E poi ci saranno soprattutto le biotecnologie, più biotecnologie, che aiuteranno a rendere più “sani” i sani e a migliorare la vita di chi combatte tutti i giorni la sua guerra con Alzheimer, Parkinson, ansia, stress, disturbi del sonno, spettri che agitano la vita di tanti. «Le biotecnologie sono sempre intorno a noi» spiega. «Non sono altro che i processi che permettono di ottenere prodotti utili alla nostra quotidianità. Qualche esempio banale? Il pane. Il suo aspetto gonfio e soffice è possibile solamente grazie all’anidride carbonica rilasciata attraverso il processo di fermentazione dei lieviti e che, intrappolata nell’impasto, gli permette di gonfiarsi. Un altro è il detersivo per il bucato: svolge la sua funzione grazie al fatto di contenere al suo interno proteine in grado di agire anche alle alte temperature e che agiscono su molti tipi di macchie».
Dopo la laurea in Scienze Biologiche, Jasmine Balduzzi, ha iniziato il corso di laurea magistrale in “Biotecnologie avanzate”, un interesse nato anni prima. «Quando ero alle superiori ho letto un libro che mi ha molto colpito, “Homo Deus: breve storia del futuro”. Parlava di robotica, intelligenza artificiale, ingegneria genetica, la questione era: che uso ne faremo? Da lì pian piano è cresciuto l’interesse, si è fatta strada l’idea che potessi fare qualcosa in questo campo, mi sono sentita affine a questo percorso ma non lo sapevo se lo ero davvero. Mi sono lanciata, adesso posso dire che era la scelta giusta».
Grazie al “Progetto magistrale Plus” quest’anno è entrata nelle maglie di Cerebro, dove studia gli effetti della luce NIR (Near Infra Red – vicino infrarosso) del dispositivo NIR Infrared progettato da Cerebro. «La voglia di mettermi alla prova e di conoscere un mondo per me nuovo, quello del cervello, mi hanno spinto a buttarmi a capofitto in questa nuova esperienza. All’inizio non è stato facile dato che per me significava riempire pagine tutte bianche.
NIR Infrared è un dispositivo di fotobiomodulazione transcranica, una metodica riabilitativa non invasiva e indolore. Il funzionamento è basato sull’esposizione dei tessuti del cervello alla luce, a una lunghezza d’onda del vicino infrarosso. Lo spettro della luce ha, infatti, diverse frequenze e, come risulta da letteratura scientifica, la luce del vicino infrarosso è in grado di attraversare una serie di strati che includono lo scalpo, le ossa del cranio, le meningi fino ad arrivare sulla corteccia cerebrale. Illuminare le cellule del cervello con una luce del vicino infrarosso aumenta l’attività dei neuroni e migliora le funzioni cerebrali».
«NIR Infrared funziona a emissione statica» – prosegue la ricercatrice – «In questo momento all’interno di Cerebro sto approfondendo anche la ricerca sulla fotobiomodulazione transcranica a emissione pulsante. Dagli studi, infatti, emerge che questo tipo di emissione, in aggiunta ai benefici di tipo metabolico dati dalla luce statica, è in grado di apportare un maggiore assorbimento di sostanze nutritive da parte delle cellule, in particolare in soggetti con gravi problemi di neuroinfiammazione, tra cui le persone affette da malattie neurodegenerative. Le cellule infiammate tendono ad avere una permeabilità alterata e l’effetto pulsante della luce gli permette di espandersi e contrarsi, favorendo con questi movimenti l’ingresso di sostanze nutritive e l’espulsione di tossine dalla cellula. In aggiunta a questo, è stato dimostrato che la luce pulsata riduce il riscaldamento del tessuto cerebrale esposto, dato che l’alternanza accensione/spegnimento annulla quasi completamente l’aumento di temperatura della pelle. La velocità di riscaldamento notevolmente inferiore del metodo pulsato consente l’utilizzo di una potenza maggiore senza il rischio di un riscaldamento eccessivo dei tessuti permettendo quindi prestazioni più elevate. Inoltre, si parla di penetrazione più profonda dato che la luce pulsata è in grado di far cadere al momento dell’impulso una quantità maggiore di particelle di luce sulla superficie, permettendo di raggiunge gli strati più profondi del cranio con un’intensità maggiore».
«La possibilità di stimolare specifiche frequenze di attività cerebrale è una peculiarità solamente della luce pulsata, e non della statica. Recentemente la ricerca ha dimostrato come la fotobiomodulazione transcranica pulsata possa essere impiegata per modulare in modo non invasivo le onde cerebrali che sono responsabili di processi sensoriali e cognitivi. È in grado di apportare vantaggi enormi anche per i soggetti sani: la stimolazione di queste onde favorisce: cognizione, memoria, concentrazione, flusso sanguigno cerebrale, quindi supporta apprendimento, consapevolezza, acutezza mentale oltre a portare un benessere generalizzato. Questi studi aprono ancora le porte alla ricerca delle possibilità che le biotecnologie potrebbero dare a tanti, portando un netto miglioramento della qualità della vita».