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L’INNOVAZIONE ITALIANA DI CEREBRO NELLA SILICON VALLEY

«Vi racconto i nostri quattro giorni nella sede di Innovit, l’Italian Innovation Center di San Francisco, tra aziende leader del Digital Health, investitori e mentori… Un’energia fortissima. In due parole? Mind opening e networking».

Dopo aver superato una selezione a maglie strette Cerebro, in quanto impresa innovativa nell’ambito del Life Science and Digital Health, è stata ammessa nell’olimpo dell’innovazione targata Silicon Valley. È iniziata così l ‘avventura americana’ che ha portato la guida dell’azienda, la dottoressa Federica Peci, accompagnata dal suo co-fondatore, il dottor Samorindo Peci, a fare le valigie e volare alla volta dell’Italian Innovation Center di San Francisco per partecipare a INNOVIT, un programma promosso dalla Direzione Generale Sistema Paese del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia a Washington e con il Consolato Generale a San Francisco. 

Per quattro giorni, dal 10 al 14 giugno, Cerebro si è ritrovato dentro questo aggregatore internazionale di aziende e talenti che negli anni passati ha fatto tappa anche a Londra e Parigi prima di tornare nel cuore dell’innovazione globale in cui, tanto per ricordarlo, sono nati giganti come Google o Apple. Sul piatto c’era un ricco programma di attività e networking e soprattutto l’occasione di mettere in vetrina negli Stati Uniti la propria innovazione, confrontandosi con mentor ed esperti di altissimo livello. In altre parole, salire sul trampolino. Ci racconta com’è andata Federica Peci, CEO di Cerebro. 

Partiamo dall’inizio

«Allora devo tornare a prima del 10 giugno, perché a conti fatti l’esperienza a Innovit è partita già qui da Milano. Dopo aver letto l’ammissione in graduatoria ci siamo messi in contatto con il team del programma che sin da subito ci ha mostrato tutto il supporto e impegno possibili e nelle settimane precedenti abbiamo partecipato a diverse sessioni di formazione online. La nostra categoria Life Science and Digital Health racchiudeva startup e piccole medie imprese italiane di vari ambiti: pharma, biotech, medical devices, tutti con idee ad alto impatto innovativo ma soprattutto sociale e sanitario. Le startup hanno seguito un percorso di 2 settimane, noi piccole medie imprese di una. Sono partita il 9 Giugno e dopo 15 ore di aereo, uno scalo e 9 ore di fuso orario sulle spalle sono atterrata in terra americana. Lunedì 10 giugno si sono spalancate le porte dell’Italian Innovation Center di San Francisco e da lì, francamente, non ho avuto neanche il tempo di percepire il jetlag: sono stata completamente assorbita da appuntamenti, workshop, incontri con aziende e investitori, sessioni di mentoring… Un’energia fortissima».

Qual è stata la sfida più difficile?

«Sicuramente le sessioni di ‘pitch’. Bisognava presentare di fronte a centinaia di esperti la propria azienda in un minuto, un minuto! Posso assicurare che non è per niente facile presentare un progetto – che per me vale una vita – in così poco tempo, raccontare quali sono gli obiettivi, il valore dei prodotti che porti, il team che la compone, e farlo con lo scopo di generare attenzione e puntare a un primo contatto, perché non pesa solo quello che racconti ma anche ‘come’ lo fai, il lessico che usi, il carisma che esprimi. Si tratta di fare emergere che la tua azienda è davvero la tua vita e che ciò che fai da 6 anni a questa parte ha cambiato e modificherà nel futuro la qualità di vita delle persone a cui ti rivolgi.

Questo esercizio però mi è stato utile: mi ha costretto a valutare i punti di forza del progetto. Non avevo la possibilità di dilungarmi, potevo dire quelli e basta, e questo mi ha portato a chiedermi quali fossero davvero. 

Altro scoglio durissimo è stato lo SharkTank, che letteralmente significa ‘vasca degli squali’, una definizione che già la dice lunga… Investitori e Capital Ventures della Silicon Valley si riuniscono per giudicare la tua azienda in termini di fattibilità di investimento. Avevo 3 minuti a disposizione per raccontare il valore del progetto. È stata sicuramente tra le sessioni più impegnative ma alla fine è andata bene».

A proposito, che feedback hai ricevuto?

Positivi. Ad esempio al Demo Day, in uno stand adibito per noi, ho presentato a oltre 150 esperti del settore e altre aziende la fTMS Cerebro, il nostro dispositivo di stimolazione magnetica transcranica che ha suscitato grande interesse e curiosità anche grazie alla sua forma e portabilità. Mi sono resa conto, toccando con mano, quanto uno strumento medicale di questa levatura possa effettivamente avere le caratteristiche per entrare in un mercato come quello americano.  

Cos’altro ti ha entusiasmato?

L’incontro e il confronto con alcuni colleghi italiani. Ho ritrovato persone a capo di aziende che già avevo conosciuto in altre occasioni come la CEO di ChemiCare, Beatrice Riva, che avevo già incontrato al premio Fondazione Italia USA, o Comftech e Ric3D, alla fiera ArabHealth di Dubai nel 2021. Sono stati incontri importanti e preziosi, molto stimolanti. Mi hanno aiutato a vedere il mio progetto da un’altra prospettiva rispetto a quella in cui sono immersa a Milano. È vero che guardare le cose da lontano ti permette di ‘vedere meglio’, acquistare lucidità: dove siamo e dove vogliamo andare e, attraverso il confronto con altri, anche come farlo. 

Quale ‘bagaglio’ ti sei portata a casa?

Innanzitutto due fantastiche collaborazioni sul territorio italiano con aziende che erano presenti a INNOVIT e con cui ho trovato subito grande affinità e la stessa voglia di cambiare il mondo della riabilitazione italiana. Poi, moltissime idee, ad esempio sulle applicazioni dei dispositivi Cerebro, dalle cliniche riabilitative alla ricerca aerospaziale, cose a cui non avevo finora mai pensato. E in generale direi un’aumentata consapevolezza: sono partita con dei grandi punti di domanda e torno convinta che Cerebro ha imboccato la strada giusta fin dall’inizio e che dobbiamo spingere ancora di più per essere quell’azienda che fa davvero la differenza. Sono anche consapevole che il mondo americano non è il nostro e che chi ha un progetto in cui crede deve continuare a parlarne, a raccontarlo e cercare quella rete di supporto che serve a ogni azienda per spiccare il volo e mantenersi in alto. Cerebro è nata in Italia ed è qui che progetto il suo futuro ma adesso so che ha anche tutte le caratteristiche che servono per funzionare nel mercato USA. 

Se dovessi riassumere in due parole questa esperienza, quali useresti?

Ci è stato chiesto anche a San Francisco, in chiusura della settimana, di individuare due parole che fossero rappresentative della nostra esperienza a INNOVIT. Io ho scelto ‘mind opening’ e ‘networking’. La prima perché è quello che accade quando ti allontani dai tuoi spazi e ti apri al confronto con realtà di business diverse dalla tua: con la mente aperta innumerevoli opportunità si spalancano davanti. ‘Networking’ perché qualsiasi imprenditore, investitore, capital ventures, ricercatore con cui ho parlato mi ha donato la sua conoscenza, i suoi consigli, il suo tempo e questo per me ha un prezzo inestimabile. 

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